GITA IN VAL VENSOTA - II parte
di Luca Webber
Domenica 7 ottobre di
buon'ora ci incontriamo con Gianni Bodini che
ci accompagnerà alla scoperta di una parte dei tesori della val
Venosta.
L’escursione
inizierà dal colle di Tarces dove potremmo osservare il sovrapporsi
di più epoche storiche. Ai piedi della collina, formatasi in età
glaciale e abitata fin dal neolitico, Gianni ci mostra delle coppelle
incise su una grande lastra di pietra, affiorante dal terreno e in
parte ripulita, a dimostrazione di quanto sia antico il sito che
andiamo a visitare. Sulla sommità troviamo la chiesa romanica di San
Vito, sfortunatamente oggi chiusa. In compenso possiamo ammirare
il bellissimo
panorama che ci si offre sul fondovalle, Malles,
Glorenza e, in lontananza, il sito archeologico di
Ganglegg, luogo di culto e scambio.
Proseguendo, Gianni ci conduce su di un terrazzamento dove vi sono
incise due coppelle, chiamate Am
Pfannestiel,
di notevole grandezza. Da qui raggiungiamo una cosiddetta casa retica
del 1° millennio a.C., portata alla luce un decennio fa. Durante gli
scavi sono state rinvenute monete di epoca romana, asce di ferro e un
corno di cervo recante un’iscrizione retica, risalente a 2.550 anni
fa. Ritrovamenti che indicano come il sito sia stato ripetutamente
abitato a partire dal primo neolitico. Gianni ci spiega inoltre come
questa casa faccia parte di un ampio insediamento, posto sul lato
solatio e del tutto ricoperto di terra. Abitazioni che attendono
solamente di essere portate alla luce dagli archeologi. Continuando,
all’altra estremità del colle, troviamo due scivoli di fertilità,
dal buon stato di conservazione si intuisce siano ancora usati. La
tradizione orale racconta: “Tachepichl,
vai e fai la scivolata”.
Terminata la gita sul colle di Tarces,
visitiamo la chiesetta di Santa Maria in Colle a Laces, dove nel
1992, durante lavori di restauro venne portata alla luce una
statua-stele, datata intorno al 3000 a.C.. Su un lato si vede inciso
alla base qualcosa simile ad un drappo, da cui partono delle righe
verticali separate da tre righe orizzontali. Nella parte superiore
due linee oblique che si intersecano a formare una grande X ai cui
lati sono inseriti due simboli solari raggiati con coppella centrale,
che potrebbero indicare il sorgere ed il calare degli stessi.
Gianni ci racconta che incuriosito da questo
disegno ha svolto degli studi arrivando a ipotizzare che nelle linee
orizzontali e verticali ci sia una logica e un sistema non casuale,
tanto da far pensare di trovarci di fronte ad una stele/calendario.
Nelle sue ricerche ha scoperto e fotografato un interessante fenomeno
astronomico che si ripete tutti gli anni. Nella settimana del
solstizio d'inverno tra il 20 ed il 25 dicembre il sole, man mano che
cala dalla val Martello, forma un triangolo che lambisce quattro
chiese e finisce esattamente nel punto di ritrovamento della stele.
Pertanto ritiene possa trattarsi di un sistema naturale di
misurazione del tempo.
Sull’altro lato vi è il medesimo drappo che
definisce lo spazio in cui sono incisi pugnali, asce, animali ma
soprattutto un arciere che impugna un arco con freccia puntata contro
un’altra figura umana. Essendo l’unica pietra di quest’area con
ritratta una figura umana gli archeologi ipotizzano si possa trattare
di una pietra commemorativa dell’uccisione di Otzi. In concreto, la
stele ha tutti gli elementi per un buon giallo archeologico: un
arciere punta la sua freccia contro un'altra persona. Oltre tutto la
stele è stata trovata nel territorio dove esisteva un insediamento
dello stesso periodo della mummia del Similaun e da cui, con due
giorni di cammino, si raggiunge il luogo di ritrovamento di Otzi. In
più: una punta di freccia in selce nella spalla sinistra porta a
ipotizzare la sua morte. Assieme al corpo di Otzi furono ritrovati
resti di grande interesse, come un arco in legno di tasso, frecce,
un'ascia in rame ed altri oggetti, tra cui delle bacche di prugnolo
che crescono solo nel territorio dove è stata trovata la stele. In
conclusione potremmo trovarci dinnanzi al primo libro giallo
documentato su pietra di un evento tragico.
Dopo
una breve pausa caffè, ci troviamo a percorre in auto la strada che
si inerpica sul Sonnenberg,
praticamente
larga una sola corsia ma per fortuna poco trafficata e con diverse
aree per poter accostare.
Una
volta parcheggiato, da prima ammiriamo lo splendido paesaggio sulla
sottostante val Venosta e poi ci inoltriamo a piedi lungo sentieri
che ci condurranno ai massi coppellati. Il primo è il Lousplatte,
bellissimo masso proteso nel vuoto con incise svariate coppelle di
grandezza e dimensioni diverse, che invoglia a fermarsi e contemplare
la vastità che ci circonda. Intanto che banchettiamo, Gianni ci
spiega che il versante al sole, in cui ora ci troviamo, è stato
interessato fin dal neolitico dal passaggio di uomini. Precisamente
su questo versante è possibile congiungendo diversi luoghi
archeologici, tra cui Castello Juvale, ripercorrere l’antica via
dei primi abitanti della valle. Esistono diverse leggende, una parla
di una collina del tesoro in cui ”i
nani contavano le monete sempre nello stesso posto e così si sono
formate le coppelle”.
Ripartiti,
raggiungiamo un masso inciso con coppelle che formano il cinque del
gioco dei dati,
riconducibile a simboli solari in seguito elaborato nella croce.
Dopodiché proseguiamo fino al Untergrubelplatte,
una grande roccia con incise più di 170 coppelle, una croce e
diverse canalette. Alcuni metri sopra vediamo altre coppelle su di
una roccia verticale. I massi coppellati che Gianni ci ha mostrato,
collocati sempre in luoghi predominanti, ci permettono ancora una
volta di capire
l’importanza del versante solatio per i primi uomini che hanno
calpestato questo territorio.
Terminiamo
scendendo alla Klumperplatte,
che funge da tetto e da riparo dando forma a un Dolmen. Sulla lastra
più grande vi sono piccole coppelle e incisioni, ma la particolarità
è una lastra mobile posta sopra. Si tratta di una pietra adoperata
per trasmettere segnali, messa in vibrazione con il peso del corpo
produce un suono cupo e potente, udibile a grandissima distanza che
fa tornare alla mente antichi riti ancestrali
Con questa ultima visita scendiamo al bar di Castelbello per brindare
a questa intensa e bella giornata trascorsa assieme.
Bibliografia: “Steine
4000 Jahre Megalithkultur in Europa” di Gianni Bodini Ed. Arunda
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