INTINERARIO ARCHEOLOGICO A CAVEDINE
di Francesca Iachelini
Il 21 febbraio, in una splendida
giornata di sole lasciamo la nostra bella valle per esplorare un
angolo di Trentino ricco di storia archeologica, la valle di
Cavedine.
Avvicinandoci sempre più alla nostra
meta in Valle dei Laghi, abbiamo modo di
ammirare la primavera che emerge prepotente, in un inverno forse mai
davvero arrivato.
Parcheggiate le auto poco lontano dalla
possente chiesa parrocchiale della Madonna Assunta ci incamminiamo
verso il sentiero archeologico che segue una antica strada romana,
dove si possono ancora notare i segni del passaggio dei carri. La
strada, costituiva un tratto collaterale della principale via di
comunicazione nord-sud che congiungeva Tridentum con il Garda, le sue
origini sono però molto più antiche, in quanto, come accade di
frequente, ricalca una pista percorsa fin dalla preistoria.
Il sentiero scorre dolce, tra
chiacchiere gioiose, portandoci ad una sacra fonte custodita da una
costruzione romana: una struttura sotterranea in muratura costituita
da un breve avvolto e sostenuta da un arco a tutto sesto. Alcuni
gradini ci fanno scendere verso il cuore della costruzione, lontani
dalla luce del giorno che brilla fuori, racchiusi nel grembo buio e
umido della terra, osserviamo l’acqua proveniente dalla falda
freatica, che si diparte ai nostri piedi, nella vasca rettangolare.
Per le popolazioni antiche, il senso
del sacro accompagnava il quotidiano e non si dissociava dalla
materia fisica. Così l’acqua, fonte indispensabile di vita e di
sopravvivenza, veniva celebrata in tutti i suoi aspetti materiali e
simbolici. Alcune fonti in particolare erano luoghi oracolari
privilegiati per chiedere consiglio, guarigione o fertilità.
Venivano donate inoltre offerte all’acqua e ai suoi spiriti
femminili, quelle che attraverso le leggende e la toponomastica sono
arrivate a noi con i nomi di Guane, Anguane, Viviane. Molto prima
dell’epoca dei Romani, da tempo immemorabile, ai piedi del Dosso di
San Lorenzo in località Giugn (probabile riferimento Romano a
Giunone), venivano praticati riti legati all’acqua, in onore
dapprima della Dea Grande Madre e alla Dea Reitia in seguito. Il
Dosso di San Lorenzo era inoltre la sede di una antico castelliere
Retico (come testimonia il rinvenimento di una piccola officina per
il bronzo), e di un luogo di culto preistorico sopra il quale è
stata in seguito costruita, dai primi cristiani, una chiesa nel
tentativo di evangelizzare la zona e di sostituirsi agli antichi
culti.
La fontana romana, legata all’abitudine
etrusca di costruire pozzi per raccogliere le sorgenti migliori della
zona, si delinea come una struttura di notevole pregio per la sua
ottima conservazione e per la sua unicità nel territorio Trentino.
Il suo valore non si limita però alla bellezza architettonica ma è
memore di un’antica sensibilità profondamente radicata nei nostri
territori.
Riprendendo il cammino nelle meraviglie
della natura, il sentiero ci accompagna verso la Cosina di Stravino,
una cavità naturale aperta nel versante orientale del Monte Brusino
ed ottenuta dall’erosione della roccia calcarea. Scoperta nel 1912
dal Parroco di Madruzzo, don Vogt, è databile fra la fine dell’età
del Rame e l’età del Bronzo Antico (III- II millennio a. C.). In
questo periodo era usata a scopi sepolcrali, sono stati infatti
ritrovate i resti di cinque individui disposti lungo le pareti della
grotta, vasellame ceramico, utensili in selce (fra cui un pugnale a
forma di lauro) e resti di animali che sono stati interpretati come
testimonianze di banchetti funebri. All’epoca era piuttosto diffuso
l’uso di grotte sepolcrali, con cui si cercava di proteggere il
defunto, coprendolo con delle pietre. Nelle epoche successive il sito
servì anche come riparo per i pastori, soliti accendere un falò
presso l’imbocco della grotta, per riscaldarsi e cucinare, motivo
che ha portato alla derivazione del nome del sito “Cosina”. A
questo proposito si può osservare una particolare apertura scavata
nella parte superiore della grotta che permetteva la fuoriuscita del
fumo.
Continuando il nostro percorso
giungiamo in una radura dove dal terreno affiora un misterioso blocco
roccioso che porta un’iscrizione funeraria di età imperiale,
denominato localmente come “Carega del diaol” o “Trono della
Regina”. L’incisione è stata molto probabilmente commissionata
da Publio Liamno in onore degli dei Mani e della moglie Prima
Libertà: D(IS) M(ANIBUS) PLIAMNUS TERTI M/ANDILONIS F(ILIUS) ET
P(RIMAE) LIBERTAE UX(ORI) “La fece fare Publio Liamno figlio di
Marco Andilone in onore dei Mani per sé e per la moglie Liberta”.
Una affascinante leggenda inoltre
spiega l’origine del nome “Trono della Regina”. Si racconta
infatti che la roccia a forma di sedile, abbia ospitato Giulia Mammea
di ritorno dalla Germania, con la salma del figlio Alessandro Severo,
ucciso nel 235 d.C. da Massimino.
E’ possibile inoltre che anche questa
radura fosse sede riti pre-cristiani, come potrebbe indicare il
riferimento al “diaol”, operato dalla cristianità per
demonizzare antichi luoghi di culto.
Prima di scendere verso l’abitato,
terminiamo la nostra visita scrutando con attenzione le numerose
lastre di pietra in cerca delle pitture rupestri e delle coppelle che
conservano, ricordo indelebile scalfito nella roccia dei nostri
antichissimi antenati.