Incisioni pastorali in
Val di Rabbi e altro……..
di Luca Webber
La Val di Rabbi non
smette di stupirci. Quest’estate Giuliano Valentinotti e
Luigi Turotti ci hanno segnalto delle incisioni vicino a
Sorasas. I molteplici impegni estivi ci impediscono di andare a
vederle e dobbiamo attendere il 21 settembre 2015 quando, Franca ed
io, riusciamo a salire al Bait de Sorasas. Sul posto rintracciamo
numerose scritte incise sulla pietra nelle vicinanze del bait e della
croce. Le scritte appaiono molto rovinate, anche se ben incise con il
metallo nella pietra. Abbracciano un periodo temporale tra il 1940 ed
il 1960 e calcoliamo siano pastorali. Ci incuriosisce il fatto che
tutti i nomi incisi siano in lingua tedesca, questo ci fa immaginare
qualcosa di collegato alla guerra. Sapendo che la Val di Rabbi ha
accolto numerosi rifugiati della seconda guerra mondiale (1939-1945)
abbiamo iniziato a svolgere una piccola ricerca. Parlando con persone
della Val di Rabbi veniamo a conoscenza del fatto che diversi
partigiani erano rifugiati nelle malghe della valle, tra cui Sorasas,
e che in quegli anni vi era un gran movimento per quei monti. Ciro
Pedergnana ci racconta che “a Sorasas negli anni della
guerra c’era un rifugiato tedesco, i paesani gli portavano da
mangiare fino a quando un giorno è sparito. Negli anni ’60 Stefano
Ruatti di Pracorno, andando a caccia sul sentiero che dal lago
conduce al passo di Salec ha trovato uno scheletro umano. Sono
arrivati i Carabinieri che lo hanno portato al cimitero di San
Bernardo con la scritta “resti umani sconosciuti”. Più tardi è
arrivata a Rabbi la moglie che lo ha riconosciuto da un dente d’oro
nella protesi.” Ci racconta che il periodo della guerra è
stato difficile, si ricorda di un certo “Stanchina Casimiro
detto “Miro” di Terzolas, che ha ucciso un’ufficiale Tedesco
per rubargli i soldi al Lago Corvo (gli aveva promesso di portarlo in
Svizzera). E’ stato condannato a 30 di galera”. E di quando
il 3 maggio 1945 “molte persone si trovavano nella chiesa di San
Bernardo per celebrare la festa della Santa Croce (Calendimaggio,)
quando i partigiani di Rabbi hanno fermato un gruppo di soldati
tedeschi che stava salendo da Malè per valicare Passo Rabbi,
pretendendo che gli consegnassero le armi. I soldati tedeschi, anche
se in ritirata perché la guerra era finita, hanno reagito alle
provocazioni dei partigiani e minacciato di far saltare la chiesa con
dentro tutte le persone. Solo grazie all’intervento di Attilio
Lorenzoni, di Malè, che parlava bene il tedesco, si è evitata una
strage. I tedeschi fecero esplodere le bombe nel fiume Rabbies e poi
proseguirono il viaggio”.
Continuiamo a cercare
notizie ed Egidio Zanon ci racconta che dal 1941 al 1949, con
il padre Cirillo, saliva con il bestiame da Valorz alla malga Casera
e a Sorasas. Di quel periodo ricorda che molti soldati altoatesini si
erano rifugiati in Val di Rabbi, fuggivano varcando Passo Rabbi dalla
Val d’Ultimo, salivano a Sorasas e superando la Basetta di Ortisè
(passo Valletta) entravano in Val di Sole. Rammenta che “nella
primavera del 1944, con tutta la famiglia, stavamo salendo per
fermarci con il bestiame alla Malga Casera, come facevamo sempre, per
poi proseguire fino a Sorasas. Arrivati alla malga l’abbiamo
trovata occupata da tre partigiani comandati da un uomo di Bolzano
soprannominato “el Barba” (non ricorda il nome esatto). Mio padre
Cirillo si era molto arrabbiato perché, sapendo che i tedeschi
salivano tutti i giorni a cavallo da Malè fino a San Bernardo per
perlustrare il territorio alla ricerca di notizie riguardo i
partigiani, era molto pericoloso per tutti noi fermarsi alla malga,
perciò decise di salire subito al Bait de Sorasas. Nei mesi
successivi i tre partigiani non ci diedero nessun problema, il
Comandante veniva tutti i giorni a trovarci al Bait per bere del
latte e a chiacchierare con mio padre. I cittadini di Rabbi li
aiutavano, portando rifornimenti al punto d’incontro stabilito con
i partigiani, nei pressi delle cascate di Valorz, lungo una
passerella in legno, ora scomparsa, all’altezza dell’odierna
galleria, costruita dal padre Cirillo nel 1955. Nell’estate del
1944, circa luglio, dopo i soliti segnali fatti da San Bernardo con
delle lampade, nessuno dei partigiani si presentò al punto
d’incontro presso le cascate di Valorz. I rabbiesi, preoccupati nel
non vederli, salirono alla Malga Casera e una volta arrivati non
trovarono nessuno. Fino a quando arrivarono i due partigiani Trentini
e alle domande sul perché non fossero scesi a prendere i
rifornimenti i due risposero che era sceso il Comandante. Da quella
sera del Comandante “el Barba” non si ebbero più notizie, i due
partigiani trentini li vedemmo andarsene la mattina seguente senza
più tornare e senza dare spiegazioni”.
Egidio continua
raccontandoci che “nell’autunno del 1945, Ruatti Stefano,
cacciatore di Pracorno, andando a caccia lungo il sentiero che da
Sorasas porta a Salec, trovò uno scheletro di un uomo che indossava
una divisa. Avvertite le Autorità si è recuperato il corpo, e
sospettando che si trattasse del “barba”, si rintracciava la
moglie che lo riconosceva come suo marito”. Stuzzicati dalle
vicende raccontateci ci siamo attivati per ricercare maggiori
notizie, scovando, grazie al Comune di Rabbi, conferma del racconto
sul “barba”. L’atto di morte trovato, recita: “il
giorno imprecisato del mese di giugno, dell’anno
millenovecentoquarantaquattro in località “Crozete di Salec” è
morto Muffato Bruno, residente a Bolzano (…) coniugato con (…)”
trascritto nei registri degli atti di morte del Comune di Rabbi
in data 10 agosto 1959. Nessun cenno alla storia raccontataci sui
partigiani, ma gli indizi corrispondono: coincidono le date, la
località di ritrovamento del corpo, la residenza e il tempo
trascorso per il riconoscimento. La storia di “Casimiro” è
stata scritta il 13 aprile 1949 dal giornale Alto Adige, dove si
racconta: “La
Corte d'Assise condanna a trenta anni di reclusione Casimiro
Stanchina, da Terzolas di Malè, imputato dell'omicidio di un
ufficiale tedesco del quale non si è mai trovata la salma. Nei primi
mesi del 1946 in val di Rabbi si era diffusa la voce per la quale
dopo la Liberazione sarebbe stato soppresso un ufficiale tedesco che
si era rifugiato in zona, il tenente Eduard Schubert. I sospetti
caddero su alcuni individui e alla fine i carabinieri avevano
concentrato la loro attenzione sullo Stanchina e su "certo
Albertini". Il cadavere non fu mai trovato, ma la circostanza
che il delitto sarebbe avvenuto sulle rive del lago Trenta, faceva
ritenere che fosse stato inabissato in quelle acque. L'Albertini
muore nel carcere di Rovereto; in giudizio appare solo lo Stanchina
che continua a proclamarsi innocente. Lungo ed appassionante processo
indiziario, nel quale tra l'altro un difensore dello Stanchina rivela
che il suo cliente, partigiano, sarebbe potuto tornare a casa se non
si fosse intestardito a proclamare la sua innocenza. Ammettendo il
delitto, che sarebbe avvenuto prima del 31 luglio 1945, egli sarebbe
stato amnistiato. Ma alla fine in un'aula piena di abitanti della val
di Rabbi, la Corte si pronuncia per la condanna.” (1)
Altro indizio ce lo
fornisce Lorenzo Gardumi (2) nella sua tesi di Dottorato
“Violenza e giustizia in Trentino tra guerra e dopoguerra (1943 –
1948), dove scrive “l’episodio più eclatante di «criminalità
partigiana» si ebbe in val d’Ultimo, territorio compreso nella
provincia di Bolzano, ma confinante con quella di Trento. Il 18
luglio 1945 fu assassinato l’ex ufficiale della Wehrmacht Edoardo
Schubert. In seguito alle indagini, i carabinieri riuscirono ad
identificare l’autore dell’omicidio (…). Casimiro aveva seguito
gli spostamenti dell’ex ufficiale tedesco. Una volta rintracciato,
lo aveva ucciso derubandolo degli oggetti di valore – un orologio e
un anello d’oro – che indossava. La Corte d’assise di Trento,
nell’aprile 1949, lo condannò a complessivi 38 anni di reclusione
nonostante la concessione di «circostanze» attenuanti. (3)
Ora se le pietre
potessero parlare ci racconterebbero loro stesse la storia delle
persone che le incisero, le loro motivazioni e le difficoltà di
quell’epoca. Per nostra fortuna questa volta si tratta di incisioni
relativamente recenti e così abbiamo potuto mostrare le fotografie a
chi ha “vissuto” quegli anni. Egidio ci ha spiegato che dal 1941
al 1947 ha lavorato alla malga di Sorasas assieme al padre Cirillo e
al fratello Giuseppe e di non ricordarle. Osservandole attentamente
afferma deciso che le iniziali G.Z. hanno “lo stile di mio
fratello Giuseppe” e coincidono le date in cui sono stati alla
malga. Per le altre incisioni in lingua tedesca le attribuisce ai
molti pastori altoatesini che vi hanno lavorato dal 1948 al 1952,
quando la malga di Campo Secco e Sorasas sono state date in affitto a
un certo Fril di Prissiano del Comune di Tesimo (BZ). Flavio Girardi
ci racconta che nel 1961, con suo padre e lo zio Vittorino, si è
fermato alla Malga Sorasas con il bestiame per circa 110 giorni. Ha
notato le scritte incise nella pietra ma senza dargli importanza,
pensando fossero opera dei pastori.
L’opinione generale
degli intervistati è che siano opera dei pastori che hanno
frequentato quei luoghi e difficilmente si potrà risalire agli
“artisti” che hanno voluto lasciare una traccia del loro
passaggio.
Vogliamo concludere
riportando il racconto che ci ha scritto Gino Mengon riguardante la
vicenda dell’ufficiale tedesco:
Una cosa brutta
“Alla fine dell’ultima
guerra è successa una cosa non proprio bella e se è vera quasi da
vergognarsi e anche molto!
Io l’ho appresa nel
settanta da don Rinaldo che era parroco a San Bernardo e siccome
avevo una cinquecento mi ha chiesto se un giorno l’avrei portato
alla Caldesa Bassa con una signora tedesca che gli aveva telefonato
perché voleva venire a vedere dove i partigiani avevano ucciso suo
marito che era un tesoriere dell’esercito tedesco.
Proprio quell’estate
avevano fatto la strada per poter ricostruire la malga “Terzolasa”
che era bruciata l’autunno prima, l’avevano rotta con una ruspa,
ma non interessava che fosse bella, era una strada per i trattori.
Non sono stato capace di arrivare alla malga, mi sono fermato al
“Valenar”, il prete è andato con questa signora un centinaio di
metri più avanti, su un dosso dove si poteva vedere quasi al
rifugio, dove poi sarebbe stato ucciso il suo marito da partigiani
italiani.
Stando a quello che
raccontava la gente, quest’uomo, che non si sa di preciso da dove
venisse, era il tempo del “rebalton”, il periodo che in Val di
Rabbi c’erano quelli dalla Val d’Ultimo nascosti e anche due
graduati polacchi, anche ben nascosti in una casa, quest’uomo si è
fidato di quattro lazzaroni conosciuti in una bettola e ai quali
aveva chiesto se potevano accompagnarlo al passo Rabbi per poter
rientrare nei suoi paesi.
Forse questi quattro,
anche se non era proprio gente né onesta né di parola, non
avrebbero avuto brutte intenzioni fino a quando, arrivati sotto il
passo, lui volendo sdebitarsi del favore che gli avevano fatto, ha
tirato fuori dallo zaino una borsa con dentro tanti soldi.
Questa è stata l’ultima
cosa che avrebbe fatto! Quando sono rientrati, sempre in quel locale,
si sono divisi i soldi con una bilancia, senza dover starli a
contare.”
(1)
http://www.bolzano-scomparsa.it/1949.html
(2) Dottorato di
ricerca in studi storici – Dipartimento di Scienze umane e sociali
– Università degli studi di Trento – Lorenzo Gardumi “Violenza
e giustizia in Trentino tra guerra e dopoguerra (1943-1948) – ciclo
2006-2009.
(3) Per quanto
riflette la pena da infliggersi al giudicabile per l’omicidio, la
Corte, tenuto conto che il ricorso da parte dell’imputato
all’estremo atto di violenza che portò alla soppressione dello
Schubert deve in parte, sia pure non rilevante, ascriversi alla
perversione morale determinata dalla guerra nel cui clima alla vita
umana non era attribuito quel supremo valore ch’essa ha secondo i
principi della etica ed in relazione all’istinto naturale di
conservazione insito in ogni individuo, ritiene di poter concedere
all’imputato le attenuanti generiche. (2)