GITA DELL'ASSOCIAZIONE IN VAL VENOSTA- 28 aprile 2019

di Luca Webber - II° PARTE

1

2

 

 

 

4

 

5

 

 

7

Domenica 7 ottobre di buon'ora ci incontriamo con Gianni Bodini che ci accompagnerà alla scoperta di una parte dei tesori della val Venosta.

L’escursione inizierà dal colle di Tarces dove potremmo osservare il sovrapporsi di più epoche storiche. Ai piedi della collina, formatasi in età glaciale e abitata fin dal neolitico, Gianni ci mostra delle coppelle incise su una grande lastra di pietra (1), affiorante dal terreno e in parte ripulita, a dimostrazione di quanto sia antico il sito che andiamo a visitare. Sulla sommità troviamo la chiesa romanica di San Vito (2), sfortunatamente oggi chiusa. In compenso possiamo ammirare il bellissimo panorama che ci si offre sul fondovalle, Malles, Glorenza e, in lontananza, il sito archeologico di Ganglegg, luogo di culto e scambio. Proseguendo, Gianni ci conduce su di un terrazzamento dove vi sono incise due coppelle, chiamate Am Pfannestiel (3), di notevole grandezza. Da qui raggiungiamo una cosiddetta casa retica del 1° millennio a.C., portata alla luce un decennio fa. Durante gli scavi sono state rinvenute monete di epoca romana, asce di ferro e un corno di cervo recante un’iscrizione retica, risalente a 2.550 anni fa. Ritrovamenti che indicano come il sito sia stato ripetutamente abitato a partire dal primo neolitico. Gianni ci spiega inoltre come questa casa faccia parte di un ampio insediamento, posto sul lato solatio e del tutto ricoperto di terra. Abitazioni che attendono solamente di essere portate alla luce dagli archeologi. Continuando, all’altra estremità del colle, troviamo due scivoli di fertilità (4), dal buon stato di conservazione si intuisce siano ancora usati. La tradizione orale racconta: “Tachepichl, vai e fai la scivolata”.

Terminata la gita sul colle di Tarces, visitiamo la chiesetta di Santa Maria in Colle a Laces, dove nel 1992, durante lavori di restauro venne portata alla luce una statua-stele, datata intorno al 3000 a.C.. Su un lato (5) si vede inciso alla base qualcosa simile ad un drappo, da cui partono delle righe verticali separate da tre righe orizzontali. Nella parte superiore due linee oblique che si intersecano a formare una grande X ai cui lati sono inseriti due simboli solari raggiati con coppella centrale, che potrebbero indicare il sorgere ed il calare degli stessi. Gianni ci racconta che incuriosito da questo disegno ha svolto degli studi arrivando a ipotizzare che nelle linee orizzontali e verticali ci sia una logica e un sistema non casuale, tanto da far pensare di trovarci di fronte ad una stele/calendario. Nelle sue ricerche ha scoperto e fotografato un interessante fenomeno astronomico che si ripete tutti gli anni. Nella settimana del solstizio d'inverno tra il 20 ed il 25 dicembre il sole, man mano che cala dalla val Martello, forma un triangolo che lambisce quattro chiese e finisce esattamente nel punto di ritrovamento della stele. Pertanto ritiene possa trattarsi di un sistema naturale di misurazione del tempo. Sull’altro lato (6) vi è il medesimo drappo che definisce lo spazio in cui sono incisi pugnali, asce, animali ma soprattutto un arciere che impugna un arco con freccia puntata contro un’altra figura umana (7). Essendo l’unica pietra di quest’area con ritratta una figura umana gli archeologi ipotizzano si possa trattare di una pietra commemorativa dell’uccisione di Otzi. In concreto, la stele ha tutti gli elementi per un buon giallo archeologico: un arciere punta la sua freccia contro un'altra persona. Oltre tutto la stele è stata trovata nel territorio dove esisteva un insediamento dello stesso periodo della mummia del Similaun e da cui, con due giorni di cammino, si raggiunge il luogo di ritrovamento di Otzi. In più: una punta di freccia in selce nella spalla sinistra porta a ipotizzare la sua morte. Assieme al corpo di Otzi furono ritrovati resti di grande interesse, come un arco in legno di tasso, frecce, un'ascia in rame ed altri oggetti, tra cui delle bacche di prugnolo che crescono solo nel territorio dove è stata trovata la stele. In conclusione potremmo trovarci dinnanzi al primo libro giallo documentato su pietra di un evento tragico.

3

6

8

9

Dopo una breve pausa caffè, ci troviamo a percorre in auto la strada che si inerpica sul Sonnenberg, praticamente larga una sola corsia ma per fortuna poco trafficata e con diverse aree per poter accostare.

Una volta parcheggiato, da prima ammiriamo lo splendido paesaggio sulla sottostante val Venosta e poi ci inoltriamo a piedi lungo sentieri che ci condurranno ai massi coppellati. Il primo è il Lousplatte (8), bellissimo masso proteso nel vuoto con incise svariate coppelle di grandezza e dimensioni diverse, che invoglia a fermarsi e contemplare la vastità che ci circonda. Intanto che banchettiamo, Gianni ci spiega che il versante al sole, in cui ora ci troviamo, è stato interessato fin dal neolitico dal passaggio di uomini. Precisamente su questo versante è possibile congiungendo diversi luoghi archeologici, tra cui Castello Juvale, ripercorrere l’antica via dei primi abitanti della valle. Esistono diverse leggende, una parla di una collina del tesoro in cui ”i nani contavano le monete sempre nello stesso posto e così si sono formate le coppelle”.

Ripartiti, raggiungiamo un masso inciso con coppelle che formano il cinque del gioco dei dati (9), riconducibile a simboli solari in seguito elaborato nella croce. Dopodiché proseguiamo fino al Untergrubelplatte (10), una grande roccia con incise più di 170 coppelle, una croce e diverse canalette. Alcuni metri sopra vediamo altre coppelle su di una roccia verticale. I massi coppellati che Gianni ci ha mostrato, collocati sempre in luoghi predominanti, ci permettono ancora una volta di capire l’importanza del versante solatio per i primi uomini che hanno calpestato questo territorio.

Terminiamo scendendo alla Klumperplatte (11), che funge da tetto e da riparo dando forma a un Dolmen. Sulla lastra più grande vi sono piccole coppelle e incisioni, ma la particolarità è una lastra mobile posta sopra. Si tratta di una pietra adoperata per trasmettere segnali, messa in vibrazione con il peso del corpo produce un suono cupo e potente, udibile a grandissima distanza che fa tornare alla mente antichi riti ancestrali

Con questa ultima visita scendiamo al bar di Castelbello per brindare a questa intensa e bella giornata trascorsa assieme.

10

11

Bibliografia: Steine 4000 Jahre Megalithkultur in Europa” di Gianni Bodini Ed. Arunda 59.