Il 21 febbraio,
in una splendida giornata di sole lasciamo la
nostra bella valle per esplorare un angolo di
Trentino ricco di storia archeologica, la valle
di Cavedine.
Avvicinandoci
sempre più alla nostra meta in Valle dei Laghi,
abbiamo modo di ammirare la primavera che emerge
prepotente, in un inverno forse mai davvero
arrivato.
Parcheggiate le
auto poco lontano dalla possente chiesa
parrocchiale della Madonna Assunta ci
incamminiamo verso il sentiero archeologico che
segue una antica strada romana, dove si possono
ancora notare i segni del passaggio dei carri.
La strada, costituiva un tratto collaterale
della principale via di comunicazione nord-sud
che congiungeva Tridentum con il Garda, le sue
origini sono però molto più antiche, in quanto,
come accade di frequente, ricalca una pista
percorsa fin dalla preistoria.
Il sentiero
scorre dolce, tra chiacchiere gioiose,
portandoci ad una sacra fonte custodita da una
costruzione romana: una struttura sotterranea in
muratura costituita da un breve avvolto e
sostenuta da un arco a tutto sesto. Alcuni
gradini ci fanno scendere verso il cuore della
costruzione, lontani dalla luce del giorno che
brilla fuori, racchiusi nel grembo buio e umido
della terra, osserviamo l’acqua proveniente
dalla falda freatica, che si diparte ai nostri
piedi, nella vasca rettangolare.
Per le
popolazioni antiche, il senso del sacro
accompagnava il quotidiano e non si dissociava
dalla materia fisica. Così l’acqua, fonte
indispensabile di vita e di sopravvivenza,
veniva celebrata in tutti i suoi aspetti
materiali e simbolici. Alcune fonti in
particolare erano luoghi oracolari privilegiati
per chiedere consiglio, guarigione o fertilità.
Venivano donate inoltre offerte all’acqua e ai
suoi spiriti femminili, quelle che attraverso le
leggende e la toponomastica sono arrivate a noi
con i nomi di Guane, Anguane, Viviane. Molto
prima dell’epoca dei Romani, da tempo
immemorabile, ai piedi del Dosso di San Lorenzo
in località Giugn (probabile riferimento Romano
a Giunone), venivano praticati riti legati
all’acqua, in onore dapprima della Dea Grande
Madre e alla Dea Reitia in seguito. Il Dosso di
San Lorenzo era inoltre la sede di una antico
castelliere Retico (come testimonia il
rinvenimento di una piccola officina per il
bronzo), e di un luogo di culto preistorico
sopra il quale è stata in seguito costruita, dai
primi cristiani, una chiesa nel tentativo di
evangelizzare la zona e di sostituirsi agli
antichi culti.
La fontana
romana, legata all’abitudine etrusca di
costruire pozzi per raccogliere le sorgenti
migliori della zona, si delinea come una
struttura di notevole pregio per la sua ottima
conservazione e per la sua unicità nel
territorio Trentino. Il suo valore non si limita
però alla bellezza architettonica ma è memore di
un’antica sensibilità profondamente radicata nei
nostri territori.
Riprendendo il
cammino nelle meraviglie della natura, il
sentiero ci accompagna verso la Cosina di
Stravino, una cavità naturale aperta nel
versante orientale del Monte Brusino ed ottenuta
dall’erosione della roccia calcarea. Scoperta
nel 1912 dal Parroco di Madruzzo, don Vogt, è
databile fra la fine dell’età del Rame e l’età
del Bronzo Antico (III- II millennio a. C.). In
questo periodo era usata a scopi sepolcrali,
sono stati infatti ritrovate i resti di cinque
individui disposti lungo le pareti della grotta,
vasellame ceramico, utensili in selce (fra cui
un pugnale a forma di lauro) e resti di animali
che sono stati interpretati come testimonianze
di banchetti funebri. All’epoca era piuttosto
diffuso l’uso di grotte sepolcrali, con cui si
cercava di proteggere il defunto, coprendolo con
delle pietre. Nelle epoche successive il sito
servì anche come riparo per i pastori, soliti
accendere un falò presso l’imbocco della grotta,
per riscaldarsi e cucinare, motivo che ha
portato alla derivazione del nome del sito
“Cosina”. A questo proposito si può osservare
una particolare apertura scavata nella parte
superiore della grotta che permetteva la
fuoriuscita del fumo.
Continuando il
nostro percorso giungiamo in una radura dove dal
terreno affiora un misterioso blocco roccioso
che porta un’iscrizione funeraria di età
imperiale, denominato localmente come “Carega
del diaol” o “Trono della Regina”. L’incisione è
stata molto probabilmente commissionata da
Publio Liamno in onore degli dei Mani e della
moglie Prima Libertà: D(IS) M(ANIBUS) PLIAMNUS
TERTI M/ANDILONIS F(ILIUS) ET P(RIMAE) LIBERTAE
UX(ORI) “La fece fare Publio Liamno figlio di
Marco Andilone in onore dei Mani per sé e per la
moglie Liberta”.
Una affascinante
leggenda inoltre spiega l’origine del nome
“Trono della Regina”. Si racconta infatti che la
roccia a forma di sedile, abbia ospitato Giulia
Mammea di ritorno dalla Germania, con la salma
del figlio Alessandro Severo, ucciso nel 235
d.C. da Massimino.
E’ possibile
inoltre che anche questa radura fosse sede riti
pre-cristiani, come potrebbe indicare il
riferimento al “diaol”, operato dalla
cristianità per demonizzare antichi luoghi di
culto.
Prima di scendere
verso l’abitato, terminiamo la nostra visita
scrutando con attenzione le numerose lastre di
pietra in cerca delle pitture rupestri e delle
coppelle che conservano, ricordo indelebile
scalfito nella roccia dei nostri antichissimi
antenati.
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