GITA LUNGO L'INTINERARIO ARCHEOLOGICO VAL CAVEDINE (TN) - 21 febbraio 2016

di Francesca Iachelini

 

Il 21 febbraio, in una splendida giornata di sole lasciamo la nostra bella valle per esplorare un angolo di Trentino ricco di storia archeologica, la valle di Cavedine.

Avvicinandoci sempre più alla nostra meta in Valle dei Laghi, abbiamo modo di ammirare la primavera che emerge prepotente, in un inverno forse mai davvero arrivato.

Parcheggiate le auto poco lontano dalla possente chiesa parrocchiale della Madonna Assunta ci incamminiamo verso il sentiero archeologico che segue una antica strada romana, dove si possono ancora notare i segni del passaggio dei carri. La strada, costituiva un tratto collaterale della principale via di comunicazione nord-sud che congiungeva Tridentum con il Garda, le sue origini sono però molto più antiche, in quanto, come accade di frequente, ricalca una pista percorsa fin dalla preistoria.

Il sentiero scorre dolce, tra chiacchiere gioiose, portandoci ad una sacra fonte custodita da una costruzione romana: una struttura sotterranea in muratura costituita da un breve avvolto e sostenuta da un arco a tutto sesto. Alcuni gradini ci fanno scendere verso il cuore della costruzione, lontani dalla luce del giorno che brilla fuori, racchiusi nel grembo buio e umido della terra, osserviamo l’acqua proveniente dalla falda freatica, che si diparte ai nostri piedi, nella vasca rettangolare.

Per le popolazioni antiche, il senso del sacro accompagnava il quotidiano e non si dissociava dalla materia fisica. Così l’acqua, fonte indispensabile di vita e di sopravvivenza, veniva celebrata in tutti i suoi aspetti materiali e simbolici. Alcune fonti in particolare erano luoghi oracolari privilegiati per chiedere consiglio, guarigione o fertilità. Venivano donate inoltre offerte all’acqua e ai suoi spiriti femminili, quelle che attraverso le leggende e la toponomastica sono arrivate a noi con i nomi di Guane, Anguane, Viviane. Molto prima dell’epoca dei Romani, da tempo immemorabile, ai piedi del Dosso di San Lorenzo in località Giugn (probabile riferimento Romano a Giunone), venivano praticati riti legati all’acqua, in onore dapprima della Dea Grande Madre e alla Dea Reitia in seguito. Il Dosso di San Lorenzo era inoltre la sede di una antico castelliere Retico (come testimonia il rinvenimento di una piccola officina per il bronzo), e di un luogo di culto preistorico sopra il quale è stata in seguito costruita, dai primi cristiani, una chiesa nel tentativo di evangelizzare la zona e di sostituirsi agli antichi culti.

La fontana romana, legata all’abitudine etrusca di costruire pozzi per raccogliere le sorgenti migliori della zona, si delinea come una struttura di notevole pregio per la sua ottima conservazione e per la sua unicità nel territorio Trentino. Il suo valore non si limita però alla bellezza architettonica ma è memore di un’antica sensibilità profondamente radicata nei nostri territori.

Riprendendo il cammino nelle meraviglie della natura, il sentiero ci accompagna verso la Cosina di Stravino, una cavità naturale aperta nel versante orientale del Monte Brusino ed ottenuta dall’erosione della roccia calcarea. Scoperta nel 1912 dal Parroco di Madruzzo, don Vogt, è databile fra la fine dell’età del Rame e l’età del Bronzo Antico (III- II millennio a. C.). In questo periodo era usata a scopi sepolcrali, sono stati infatti ritrovate i resti di cinque individui disposti lungo le pareti della grotta, vasellame ceramico, utensili in selce (fra cui un pugnale a forma di lauro) e resti di animali che sono stati interpretati come testimonianze di banchetti funebri. All’epoca era piuttosto diffuso l’uso di grotte sepolcrali, con cui si cercava di proteggere il defunto, coprendolo con delle pietre. Nelle epoche successive il sito servì anche come riparo per i pastori, soliti accendere un falò presso l’imbocco della grotta, per riscaldarsi e cucinare, motivo che ha portato alla derivazione del nome del sito “Cosina”. A questo proposito si può osservare una particolare apertura scavata nella parte superiore della grotta che permetteva la fuoriuscita del fumo.

Continuando il nostro percorso giungiamo in una radura dove dal terreno affiora un misterioso blocco roccioso che porta un’iscrizione funeraria di età imperiale, denominato localmente come “Carega del diaol” o “Trono della Regina”. L’incisione è stata molto probabilmente commissionata da Publio Liamno in onore degli dei Mani e della moglie Prima Libertà: D(IS) M(ANIBUS) PLIAMNUS TERTI M/ANDILONIS F(ILIUS) ET P(RIMAE) LIBERTAE UX(ORI) “La fece fare Publio Liamno figlio di Marco Andilone in onore dei Mani per sé e per la moglie Liberta”.

Una affascinante leggenda inoltre spiega l’origine del nome “Trono della Regina”. Si racconta infatti che la roccia a forma di sedile, abbia ospitato Giulia Mammea di ritorno dalla Germania, con la salma del figlio Alessandro Severo, ucciso nel 235 d.C. da Massimino.

E’ possibile inoltre che anche questa radura fosse sede riti pre-cristiani, come potrebbe indicare il riferimento al “diaol”, operato dalla cristianità per demonizzare antichi luoghi di culto.

Prima di scendere verso l’abitato, terminiamo la nostra visita scrutando con attenzione le numerose lastre di pietra in cerca delle pitture rupestri e delle coppelle che conservano, ricordo indelebile scalfito nella roccia dei nostri antichissimi antenati.

 

 

 

 

 

 

 

 

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