Rinvenuto
dall'Associazione Val di Sole Antica, sopra l'abitato di
Terzolas, un masso interessato da numerose incisioni
rupestri di vario carattere tipologico.
Un accurato esame della
roccia ha permesso di rilevare più di sessanta segni
incisi distribuiti sulla parte superiore della sua
superficie in uno schema apparentemente privo di ordine:
sedici coppelle; una serie di segni artificiali di non
facile lettura e comunque non direttamente associabili
ad un contesto cristiano; quaranta simboli cruciformi,
di cui si possono riconoscere alcuni particolari
elementi tipologici di distinzione che potrebbero
testimoniare, almeno in via del tutto ipotetica, una
qualche diversificazione temporale dell'attività
incisoria (croci greche, croci latine, croci latine con
base potenziata etc.).
L'usanza di graffire
croci di foggia più o meno complessa è notevolmente
diffusa tanto in senso spaziale quanto in senso
temporale1
ed affonda le proprie radici protostoriche e
preistoriche in antiche credenze riconducibili al culto
della pietra. Tradizioni, queste, protratte fino
all'alto medioevo e successivamente assimilate dalla
Chiesa, come denotano alcune fonti letterarie tardo
antiche e medievali che concorrono a confermare la
possibilità che gli antichi cristiani si dedicassero con
notevole assiduità all'istoriazione rupestre,
suggerendo, altresì, in quali processi storici affondino
le radici di tale fenomeno.2
Fra le peculiari attività
esercitate in Europa dalla Chiesa a partire dal momento
in cui, con Costantino, cessa di essere perseguitata, si
annovera la lotta combattuta contro una grande varietà
di culti “idolatrici”, tra cui compare con una certa
frequenza la “saxorum veneratio”.3
Molte costumanze pagane
legate al mondo celtico permangono infatti a lungo, fino
all'alto medioevo ed oltre, soprattutto negli ambienti
montani, e tradizionalmente abitati da ceti umili. Nei
confronti di questo fenomeno la Chiesa ha avuto, durante
l'intero arco della sua storia, atteggiamenti di diverso
tenore, ma tutti accomunati dallo strenuo tentativo di
debellare qualsiasi impedimento ad una completa e
definitiva affermazione della religione cristiana.4
Nei primi secoli dell'era
cristiana predominò un atteggiamento duro ed
intollerante volto all'eliminazione di idoli, altari
pagani e alberi sacri, come recita il ventesimo canone
decretato dal concilio di Nantes del 658 d.C: “(...)
i massi venerati nei boschi o nei luoghi in rovina, sui
quali si usa deporre degli ex-voto, delle candele accese
e delle offerte, sono oggetti di inganno dei demoni e
vanno rimossi e gettati in luoghi ove sia impossibile
recuperarli”.5
Successivamente però, a
partire dall'Epistola di Gregorio Magno all'abate franco
Mellitus, la quale invitava a non distruggere i luoghi
pagani, ma a riconsacrarli con l'acqua benedetta6,
la Chiesa adottò un atteggiamento più tollerante
finalizzato a sovrapporre il cristianesimo alle credenze
pagane nel tentativo di agevolare la conversione alla
“nuova religione”.
Proprio questa politica
di riconversione e recupero dei luoghi di culto pagani
sembra essere all'origine della pratica “esorcizzante”
della cristianizzazione che poteva esplicarsi
nell'incisione di petroglifi cruciformi su rocce già
interessate da altri tipi di segni sacri legati ad
antiche religioni protostoriche (coppelle etc.).7
Queste ipotesi
interpretative si configurano solo come il primo passo
di un complesso e articolato percorso di studio volto
alla comprensione della rete di simboli incisa nel
“masso delle croci” di Terzolas, il quale sta aprendo
una pagina “nuova” nella storia del nostro passato
vallivo. |