Il sasso si trova su di un terreno erboso,
misura circa 2,20 mt x 1,90 mt e un altezza di
90 cm circa. Esaminandolo accuratamente
rileviamo la presenza di 9 coppelle più 3
dubbie, di diverse dimensioni, probabilmente
incise sia con percussori in pietra che in
ferro. Nelle vicinanze troviamo un masso
affiorante dal terreno, di grandezza 1,37 mt x
95 cm circa, con incisa un’unica coppella di
diametro 10 cm per una profondità di circa 4,5
cm., verosimilmente fatta con il metallo.
Adiacente a questo masso notiamo altre 3
coppelle più due 2 dubbie, realizzate con la
pietra. Ispezionando i dintorni, posto in alto
rispetto all’Om della Terzolasa a mt. 2363,
scopriamo un masso affiorante dal terreno, con
incisa un’unica coppella di diametro 6 cm. Degna
di attenzione la posizione del masso, poiché
domina dall’alto tutta la zona e ci permette di
individuare un perimetro di pietre che potrebbe
indicare la presenza di un riparo o recinto per
il bestiame. A prima vista, tutte le coppelle
trovate all’Om della Terzolasa, non forniscono
alcun indizio utile per interpretarne il
significato. Osservando il contesto generale dei
massi, possiamo dedurre che dominano sul
paesaggio circostante permettendo di osservare
il percorso integrale che compie il sole.
Compiuta la doverosa descrizione tecnica,
desidero ora esporvi la mia personale ipotesi
sulle motivazione per cui qualcuno abbia
impiegato il proprio tempo nell’incidere dei
massi a questa quota.
Il masso coppellato “Giuliano” e quelli dell’Om
della Terzolasa si trovano entrambi su di un
promontorio ampio e pianeggiante, riparato e con
presenza di acqua. Osservandoli attentamente
abbiamo notato in entrambi la presenza di pietre
che compongono un perimetro. Considerando che
ambedue i luoghi includono le condizioni
primarie per erigere un ricovero per attività
pastorali o agrarie, la disposizione favorevole,
il pascolo e l’acqua, possiamo dire che ci
troviamo di fronte a dei ripari o ricoveri
d’alta quota, verosimilmente abbandonati in
tempi remoti perché venuti meno i presupposti
che ne hanno determinato la realizzazione. Il
masso coppellato “Franca” include i medesimi
particolari sopra elencati ad eccezione del
promontorio pianeggiante e della presenza di
strutture abitative.Oggigiorno solo gli
innumerevoli sentieri, muri a secco, ripari e
ricoveri d’alta quota rimangono quali muti
testimoni di un antico trascorso, che affonda le
radici in una spiritualità indispensabile per
poter sopravvivere in quella natura difficile,
temuta e rispettata allo stesso tempo, in cui il
“montanaro” che abitava la valle, ha dato
vita al culto della vegetazione nonché,
studiando il ripetersi delle stagioni e il ciclo
annuale della natura, ha creato un’infinità di
miti e superstizioni, credenze, modi di essere e
specialmente di pensare, trovando nel “segno”
un legame fra natura e divino. Il “segno”
diviene magia, la magia diviene credenza, la
credenza spinse l’individuo a cercare di
comunicare con il divino, per invocarlo o per
placarlo e per esorcizzare ogni evento insolito
mise insieme rituali e molteplici simboli,
ricavando da ogni pietra affiorante nel pascolo
altari a cielo aperto. Fin dalla preistoria, in
un ambiente fortemente naturalista, la pietra
diventa il supporto ideale per esaltare la
grande Dea, che garantisce il rinnovamento dei
pascoli e dei campi, incidendovi il pensiero di
un modo di concepire il soprannaturale. Il
ripetersi ossessivo del “segno” sulla
pietra può sottintendere un modo d’agire,
motivato e distintivo, da tradursi in un
messaggio, tra magia e fede, destinato a tutti
per vivere il quotidiano. Il rituale connesso al
culto della pietra, in cui si rinnovava il ciclo
della natura fecondata dalla pioggia, può essere
all’origine della gran quantità di coppelle
disseminate in tutte le regioni alpine. Il
contenitore, inciso nella pietra che per sua
natura, stabile e duratura, assicurava
l’immutabilità degli eventi, diviene l’utero
della Madre Terra colmo di pioggia, promettendo
abbondanza e rinascita per la gente di montagna.
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